Saremmo pronti a una pandemia di aviaria?

Gli epidemiologi di tutto il mondo sono in allerta a causa del dilagare, sempre meno silenzioso, dell’influenza aviaria, in quella che è ormai considerata la più grave epidemia mai individuata tra gli uccelli selvatici e il pollame d’allevamento. Il colpevole è il virus H5N1, un sottotipo del virus dell’influenza A che può infettare molti animali (incluso l’uomo), ma circola principalmente negli uccelli acquatici che migrano e ne facilitano la diffusione anche a grande distanza dai focolai iniziali.
Oltre ad aver provocato l’abbattimento di decine di milioni di capi di bestiame e a costituire una minaccia per la biodiversità, il patogeno ha di recente cominciato a contagiare anche i mammiferi: una svolta pericolosa che ha fatto alzare il livello di guardia circa potenziali nuove pandemie.. Una minaccia per la fauna selvatica. Secondo l’Organizzazione mondiale per la sanità animale (World Organization for Animal Health, WOAH), almeno 60 Paesi hanno registrato casi recenti di influenza aviaria causata da un ceppo virale altamente patogenico di H5N1, un virus non molto efficiente nell’infettare l’uomo ma che negli uccelli è circolato – dalla prima individuazione nel 1996 a oggi – in una trentina di varianti.
Stando ad alcune stime al ribasso (perché è assai complicato tracciare i contagi tra i pennuti selvatici) dall’ottobre 2021 sono morti di aviaria più di 50.000 uccelli selvatici soprattutto tra Europa e Nord America, ma il virus si è ormai diffuso anche in Africa e nelle Americhe. Circola tra gli uccelli di almeno dieci Paesi del Sud America – incluso il Perù, che ha riferito la morte di almeno 50.000 uccelli dallo scorso autunno – e si teme possa dilagare in luoghi dalla biodiversità peculiare e fragile come le Isole Galápagos o l’Antartide.. Il virus e l’industria della carne. Le ricadute per gli allevamenti di polli, tacchini, anatre e altri volatili destinati al consumo umano sono impressionanti. Soltanto in Europa e Regno Unito tra il 2021 e il 2022 sono stati abbattuti, per contenere la diffusione di influenza aviaria, quasi 50 milioni di pennuti malati o a rischio contagio; negli Stati Uniti, gli uccelli d’allevamento eutanasizzati sono stati 58 milioni nel 2022, un altro mezzo milione da inizio anno. L’H5N1 ha una letalità vicina al 100% nei polli e quando il virus irrompe negli allevamenti intensivi attraverso il contatto con uccelli selvatici infetti, la sua diffusione tra un esemplare e l’altro è facilitata dalla vicinanza obbligata a cui sono costretti questi animali.. Il salto nei mammiferi. Ma a preoccupare gli esperti sono le prove crescenti della capacità del virus dell’aviaria di passare dagli uccelli selvatici ai mammiferi. All’inizio di febbraio 2023 le autorità peruviane hanno dichiarato che 580 leoni marini in sette aree marine protette erano morti probabilmente a causa del virus H5N1 acquisito dagli uccelli infetti di cui si erano nutriti. La trasmissione del patogeno da un esemplare all’altro “non può essere esclusa”, dal momento che questi animali vivono in colonie.. Il caso dei visoni. Lo scorso ottobre, l’ingresso del virus dell’aviaria in un allevamento di visoni in Spagna favorito dal contatto con un uccello infetto nei capannoni dove venivano tenuti gli animali ha portato all’abbattimento di quasi 52.000 animali, per scongiurare la propagazione del virus e il rischio di un suo passaggio all’uomo.
Le analisi genomiche del virus pubblicate sulla rivista scientifica Eurosurveillance hanno mostrato che in quel caso il patogeno aveva accumulato adattamenti specifici per diffondersi meglio da un mammifero all’altro: un fatto preoccupante anche per l’uomo. Non solo infatti, i visoni sono mammiferi; appartengono anche alla stessa famiglia dei furetti, usati come modello animale per studiare le infezioni respiratorie nell’uomo. La progressione dei sintomi influenzali è infatti simile nell’uomo e in questi animali.. Qual è il rischio per l’uomo? Per il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, la situazione deve essere monitorata da vicino anche se il rischio per l’uomo resta contenuto. Il virus dovrebbe infatti accumulare più di una o due mutazioni prima di diventare capace di diffondersi tra esseri umani. Negli ultimi vent’anni si sono registrati circa 870 casi di aviaria nell’uomo, per lo più dovuti al contatto diretto con animali infetti. Di questi, 457 sono risultati fatali, un tasso di mortalità estremamente elevato ma “viziato” dal fatto che soltanto chi ha sintomi gravi viene testato per l’H5N1.. Troppo presto per i vaccini. Diversi tipi di vaccino contro il virus dell’aviaria (inclusi quelli a mRNA) sono allo studio, ma per impegnarsi in una produzione su larga scala di scorte vaccinali occorrerebbe conoscere in anticipo il ceppo di H5N1 che infetterà – speriamo il più tardi possibile – l’uomo, una missione impossibile data la velocità con cui i virus dell’influenza accumulano mutazioni..